La Partita 22/04/2022; La digitalizzazione aveva invaso  già molti settori produttivi prima della Pandemia, facendo assaporare le potenzialità della “remotizzazione” del lavoro.

Con l’isolamento e il distanziamento sociale necessario per la crisi sanitaria si è potuto sperimentare questo orizzonte massicciamente, catapultandoci in un futuro che la stessa Confindustria nostrana da sempre più miope e tradizionalista aveva immaginato più distante.

Le potenzialità che vengono vendute troppo spesso come largamente favorevoli solo per i lavoratori e le lavoratrici che applicano lo smartworking, si sono altresì dimostrate enormemente appetibili proprio per gli obiettivi di business.

Cosi mentre si dibatteva nel movimento sindacale che si trovava ad affrontare in maniera repentina e di massa una miriade di applicazioni del lavoro remotizzato e digitalizzato, se contrastare questa deriva o assecondarla, chi tiene le redini del Carro ha accresciuto il suo appetito.

Andiamo con ordine: partendo da macro dati riscontrati su varie fonti specializzate e messi in controluce con i dati di un’inchiesta da noi stessi prodotta, emergevano diversi aspetti generali di preoccupazione e di benessere percepito che sono sovrapponibili.

In sintesi le criticità dovute all’isolamento, alla perdita di quote salariale, il mancato supporto tecnico e professionale che spesso si riscontra lavorando soli, da casa; si percepivano in contrappeso con un migliore bilanciamento della vita familiare, risparmio dei costi dei trasporti, maggiore autonomia professionale.

Ora per centrare lo zenith della realtà sostanziale usciamo dalla percezione e pesiamo i dati reali.

Le aziende con una remotizzazione organizzata seriamente raggiungono un risparmio  fino al 30% dei costi industriali, con la riduzione di consumi nelle sedi, contratti di manutenzione e pulizia, sorveglianza, affitti, ecce cc. Per non parlare che molte realtà hanno risparmiato anche non erogando i Buoni Pasto per la mancata presenza in sede. Dopo un anno e mezzo, sanata in diverse realtà tramite accordo sindacale o concessione aziendale, a dimostrare quanti margini positivi si sono creati per le aziende.

Dall’altra parte la sciatteria della maggior parte delle OO.SS. che si sono imbattute in questa nuova organizzazione del lavoro non hanno saputo fare di meglio che schierarsi in 2 fazioni come va troppo spesso di moda in questo paese, per brevità le chiameremo SìSmart vs NoSmart parafrasando un po’ il teatrino in voga.

I SìSmart sventolando, dopo anni di indietreggiamento su tutti i fronti, una bandiera di conquista per un lavoro migliore, più compatibile con la vita privata ecc, si sono lanciati al sostegno di qualsiasi remotizzazione, bensapendo anche che sarebbe stato un sostegno concreto alle stesse aziende in una fase pericolosa di contrazione dei consumi.

I NoSmart, forse più per non trovarsi schiacciati nel campo già occupato per lo più dai sindacati Maggioritari tutti SìSmart, hanno denunciato ogni criticità possibile o in prospettiva schierandosi apertamente contro e boicottando qualsia applicazione (magari poi gli stessi in alcune realtà non disdegnano di aderirvi nel loro anonimato individuale per i vantaggi suddetti). In ogni caso sono rari i casi in cui queste posizioni sono il frutto di un’attenta elaborazione di inchieste svolte, analisi del contesto, analisi del forze reali in campo ecc. Con il risultato di isolarsi dalla stragrande maggioranza delle persone. che per paura o per convenienza (percepita) preferiscono rimanere a casa.

Da notare che solo dopo 2 inchieste autoprodotte da soggettività indipendenti, come il Coord. Lav. Autoconvocati, alcune OO.SS. hanno cominciato ad “indagare” la questione o ad organizzare dibattiti sul tema con numeri (soprattutto se pensiamo alle potenzialità) inconsistenti. Il premio indecenza va alla Cgil Calabria, che organizza un evento in cui i relatori sono tutti esponenti di Confindustria e nemmeno un lavoratore che raccontasse la propria esperienza e le difficoltà incontrate. Relegati al ruolo di presentatori e all’intervento finale con la Bandiera del radicalismo SìSmart i segretari di turno.

In questa bolgia, schiacciati dal pericolo pandemico e ubriacatura da propaganda , non si è guardato all’aspetto centrale di qualunque lavoro in qualunque modalità venga svolto: il prezzo che il datore di lavoro paga per esso. Il salario che ripercussioni ha avuto? Quanti settori sono stati risarciti non solo del BP, ma dei materiali, dei consumi delle manutenzioni, degli arredi necessari a svolgere la propria attività, ricaduti tutti o quasi sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori?

Non solo la contrapposizione tra NOSmart vs SìSmart, essendo la prima quasi totalmente respinta dalle fette più larghe dei coinvolti, ha fatto risaltare le posizioni acritiche dei SìSmart gonfiando le vele del Galeone di Confindustria, che vuole depredare tutte le poche spiagge rimaste sicure. Non solo non riconoscendo adeguate compensazioni al lavoro svolto in autonomia e ai costi sostenuti dai propri dipendenti, ma reclamando indietro parte di quel benessere percepito o dei costi di spostamento risparmiati, attaccando il salario ancor più pesantemente. Per questo motivo è iniziata la campagna sulle testate giornalistiche padronali sul modello salariale smart che si vorrebbe nel prossimo futuro. Niente di nuovo, era chiaro che sarebbe successo, è uno schema vincente che la parte datoriale adotta da tempo. Anticipando le mosse e annullandole se eventualmente qualcuno le abbia pensate.

Prima che il governo dei “migliori” si affianchi ai suddetti Pirati per un cannoneggiamento pesante sul salario anche per sfruttare al meglio (dal punto di vista del profitto) la risalita del PIL prevista nei prossimi 5 anni, sarebbe necessario prima di tutto uscire dagli schieramenti imposti dal Mainstream o dalla mancanza di elaborazione indipendente. Subito dopo magari organizzare campagne e mobilitazioni che ci facciano conoscere la realtà in cui siamo immersi, e contrapporre un’idea diversa per uscire dalla crisi economica che dopo quella sanitaria ci attanaglierà.

Sarebbe un passo utile che tra le parole d’ordine dello sciopero generale indetto da tutte le sigle conflittuali per il prossimo ottobre, ci sia quella per un Salario Minimo dignitoso, come tra l’altro imporrebbe la Costituzione!

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