La Partita, 11/10/2022; All’indomani dell’investitura del Governo Draghi, si è capito subito che la gestione post-pandemica non sarebbe stata una passeggiata, tanto che con il virus tutt’altro che debellato, lo sblocco dei licenziamenti è stato il primo provvedimento.
In accordo ovviamente con la Triade Sindacale, e congiuntamente ad una campagna contro il reddito di cittadinanza, che, nella sua limitatezza, è stato un argine contro le centinaia di migliaia di posti di lavoro persi.
Tutto ciò, insieme ad alcuni tragici eventi, ha imposto una necessità: riallacciare un dialogo tra OO.SS. autonome e di base per verificare la possibilità di costruire un’opposizione al degrado sociale che si sta trasformando in frana.
14 sigle della galassia sindacale, seppure con evidenti difficoltà per le diversità di linguaggio e obiettivi, di fronte al buio pesto in cui ci stiamo inoltrando, hanno raccolto la responsabilità lanciando un percorso che ha portato allo sciopero generale dell’11 ottobre 2021.
Se tutto ciò è lodevole e ci restituisce quantomeno un quadro politico generale al quale rapportarsi e contribuire, è altrettanto chiaro che nella migliore delle ipotesi siamo solo all’inizio di un percorso che va coltivato, curato, reso inclusivo e partecipativo anche solo per resistere all’ondata di ristrutturazioni che opereranno su diritti e garanzie, su salari e aumenti di precarietà. Figuriamoci per invertire la tendenza.
Di questa responsabilità sarebbe necessario appropriarsene tutti e tutte. Abbiamo estremo bisogno di un movimento di opposizione sociale che sia almeno nazionale, con una piattaforma comune, che contrapponga la garanzia di continuità di reddito alla ormai consolidata politica di garanzia di continuità del profitto.
Nel frattempo in piena estate abbiamo visto una vertenza, Una fabbrica di circa 500 operai guidata sindacalmente da un COLLETTIVO DI FABBRICA, ha dapprima aperto un conflitto reale alla minaccia di licenziamenti, OCCUPANDO LA FABBRICA. Subito dopo ha aperto la lotta fuori dalla fabbrica, facendo appello a tutte le forze che vogliano schierarsi contro i licenziamenti e la speculazione dell’ennesimo fondo. Il dato interessante che sta preoccupando tra i tanti, i garanti della pace sociale (CGIL-CISL-UIL) è che all’appello lanciato da un collettivo di fabbrica posizionato sindacalmente dentro la FIOM CGIL, con parole d’ordine radicali ma anche comprensibili e riproducibili, ha trovato risposta da tutto l’arco della sinistra politica e del sindacalismo di base, superando quegli steccati in piedi solidamente da anni. Oltretutto in un Territorio come quello Toscano dove la dottrina PD è un dogma per vasti settori sociali. Andando a promuovere iniziative di mobilitazione che hanno visto una straordinaria partecipazione soprattutto del territorio impattato.
La generalizzazione della lotta (o delle lotte), per uscire dalle secche, e la stabilizzazione di un soggetto che nel conflitto si candidi a rappresentare i reali bisogni di disoccupata , lavoratori e lavoratrici stabili o meno, che da decenni nessun soggetto politico è stato in grado di rappresentare è una impellenza. Gli stessi portavoce della GKN usano queste parole, quando ci dicono che per quanto siano incensati per la loro “eroicità”, sono consapevoli della fragilità della loro battaglia se questa non produrrà un effetto a catena di riproduzione di conflittualità generale a carattere nazionale.
La pandemia ha creato l’occasione per Confindustria di accelerare sui processi di ristrutturazione e azzeramento dei diritti del lavoro, di contro abbiamo quelle sacche che per tanto tempo hanno costituito la resistenza a questi processi ormai disabituati completamente al sacrificio e ad una lotta radicale, formatesi culturalmente ad accettare piuttosto che niente, meglio piuttosto.
Cosi accade che nell’incertezza di un percorso che si candida chiaramente e senza tentennamenti, si producano per timidezza solo mobilitazioni a bassa intensità forse anche perchè non si crede realmente in un possibilità di mobilitazione di massa.
Lo sciopero della Scuola, indetto praticamente da tutta la galassia di sigle dalle confederali a quelle di base, e di categoria, sembra confermare questa convinzione diffusa, perchè al di la del tono dimesso delle manifestazioni i dati di sciopero sono sconfortanti.
Eppure crediamo che anche quella giornata è stato un tassello nell crepe da sfruttare nella solida base del Governo Draghi.
Quindi la proclamazione inaspettata (ormai non ci sperava più nessuno) di uno sciopero monco, quasi obbligato, di una parte del mondo Confederale, con la Cisl che si schiera a scudo dell’indifendibile politica dello sgravio fiscale per coloro che ne hanno meno bisogno.
Colpisce immediatamente la campagna di denigrazione di uno sciopero generale assente da un decennio, giornalisti, parlamentari di ogni ordine e grado, opinionisti rastrellati per esprimersi sulla scelta inopportuna di una proclamazione che viene subito mutilata dalla Commissione di Garanzia, dalla prossimità della data che impedisce di fatto la costruzione di un processo di avvicinamento, con una mobilitazione oltretutto divisa in 4 piazze d’italia. Le perplessità non mancano, anche tra coloro che avrebbero voluto un VERO sciopero generale piuttosto che un atto dovuto.
La distanza che oggi esiste tra una sempre più ridotta comunità di militanti, attivisti, sindacali e politici si manifesta nella generale incredulità di fronte alla partecipazione di massa a queste mobilitazioni. Neanche gli stessi organizzatori avevano pensato a questa volonta di manifestare il dissenso contro le politiche draghiane. Tanto che nessuna piazza è stata sufficiente.
Oggi quindi il Piano di distribuzione delle risorse solamente verso imprese e profitto ha un problema in più, nonostante le oggettive difficoltà di una pandemia che non accenna a spegnersi, c’è un’anima che si è palesata, non solo nelle resistenti nicchie , ma anche oltre.
La partita da giocare ora è come procedere? Attenderemo che Landini e Bombardieri abbiano un nuovo scatto di orgoglio che dia spazio alle frustrazioni sociali o incalzeremo le burocrazie sindacali e politiche con campagne che rendano visibili i temi che stanno a cuore a milioni di persone in questo paese e che si sono oggettivamente poste all’ordine del giorno.
Risponderemo agli attacchi al reddito di cittadinanza, con una battaglia diffusa per i salari da aumentare perché unico paese europea ad aver subito una diminuzione rispetto alla crescita avuta negli ultimi 30 anni?
Porremo il tema della sanità pubblica e garantita invece di farci trasportare dagli insulsi dibattiti sul vaccino?
Costruiremo un dialogo con gli studenti? Che stanno occupando le scuole per denunciare che sulla scuola, anello debole dei contagi, non si è fatto nulla e che le soluzioni sono quelle già rivendicate anche prima della pandemia: riduzione del numero per classe, assunzione dei precari, investimenti nell’edilizia ecc.
All’ennesimo allungamento dei termini pensionistici, contrattaccheremo con una proposta organica per la riduzione dei tempi di lavoro e di vita lavorativa?
Che non ci sia più tempo da perdere, lo diciamo da un po’, che sia arrivato il momento di rendere questo tempo produttivo per la costruzione di una prospettiva diversa da quella propinata è il contributo che vogliamo dare.
Sapendo una cosa in più oggi, che esiste una consistente fetta di questo Paese che è disponibile ma probabilmente va convinta sulle reali possibilità di una lotta, sulle prospettive, sulla determinatezza dei proponenti che non si adageranno sul primo compromesso. Forse è questo il nodo più grande da sciogliere.
Abbiamo abbastanza maturità per comprendere che nonostante i numeri non possiamo lasciare che certe speranze possano essere consegnate alle Segreterie Sindacali che per loro natura vivono su alcune parzialità dei temi posti. D’altra parte nessuna formazione politica singolarmente ha l’autorità per proporsi da sola a rappresentare questi bisogni più generali.
Allora l’altra partita da giocare, oltre al radicamento della fiducia nella conflittualità per raggiungere gli obiettivi, è la costruzione di una coalizione che possa sinergicamente sfruttare tutte le migliori energie, energie che ben sappiamo essersi ridotte in tutti gli ambiti, forse anche come risultato dell’autoreferenzialità in cui troppo spesso si è rifugiati davanti alla crisi di militanza e partecipazione.